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Oltre la Crisi, idee e proposte verso un nuovo modello di sviluppo

di Ezio Palumbo e Francesco Tupone

La crisi causata dalla Pandemia del Coronavirus è sotto gli occhi di tutti.

L’emergenza sanitaria, il lockdown e tutte le altre conseguenze come il distanziamento sociale ed il divieto di assembramento, hanno provocato una fortissima e contemporanea diminuzione dell’offerta (chiusura delle fabbriche e degli apparati produttivi e blocco dei servizi) associata ad una diminuzione contestuale shock della domanda, dovuta al crollo degli indici di occupazione in tutto il mondo. 

(Solo due esempi: Negli Stati Uniti le richieste di sussidi di disoccupazione, nell’ultima settimana, sono cresciute di 2,98 milioni. Il numero complessivo, dall’inizio dell’emergenza coronavirus, sale così a 36,5 milioni – Negli stabilimenti della Volkswagen in Germania, appena riaperti dopo il lockdown, sono state chiuse intere linee di produzione per assenza di domanda di nuove autovetture)

Il contagio è stato, al tempo stesso, la causa di una crisi specifica, ed una forte accelerazione di processi già in corso, a cui si è aggiunto il declino di modelli di produzione delle merci basati su catene internazionali del valore. 

La mancanza di solidarietà tra gli Stati che compongono l’Unione Europea a cui stiamo assistendo in questi giorni, mette in crisi anche gli assetti sovra istituzionali del nostro paese rimettendo in gioco il complesso delle sue relazioni internazionali, e da un punto di vista più ampio mette in discussione la “globalizzazione” per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi venticinque/trent’anni.

L’assenza di una politica fiscale comune nella UE – gli Stati sono in concorrenza tra loro, favorendo pratiche di dumping fiscale (vedi i paradisi fiscali dell’Olanda o Lussemburgo) – e l’assenza di legislazioni su diritti e salari comuni dei lavoratori – anche i lavoratori sono in concorrenza tra loro – fanno percepire le istituzioni europee sempre più lontane dagli interessi dei cittadini e dei lavoratori, divenendo inutili e dannose, ostacolo al progresso, allo sviluppo e all’ampliamento dei diritti sociali.

Il nostro paese, pur avendo raggiunto negli ultimi anni, grazie agli immani sacrifici dei nostri cittadini, fondamentali economici più che positivi, divenendo nel 2020 un paese creditore netto verso l’estero (indice PNE o NIIP positivo), con un saldo commerciale (SURPLUS) pari a circa 3% annuo, vede prospettarsi, a causa delle conseguenze del contagio COVID19, una grave crisi, caratterizzata dal crollo verticale dell’economia sia dal lato della domanda sia dal lato dell’offerta, con una caduta del PIL che si prospetta a due cifre, senza grandi possibilità di manovra in termini monetari ed a forte rischio di liquidità, con conseguente alto rischio di chiusure e fallimenti nella propria base produttiva (aziende) e finanziaria (banche).

Tutti i paradigmi validi fino a febbraio, sono saltati.

Nella concezione comune (opinione mainstream), fare più debito pubblico non è più il “male assoluto” (con tutta l’ideologia che indicava il debito pubblico come un debito che avrebbe gravato sui nostri figli) ma diventa necessario per salvare l’economia dell’intero paese, milioni di lavoratori precari, partite IVA, professionisti aspettano di ricevere (e in parte lo stanno ricevendo) sussidi statali, così come sono le imprese private a chiedere contributi statali a fondo perduto, per non chiudere le loro aziende, e la stessa cosa avviene anche nei paesi più insospettabili, dove vige ancora più forte l’ideologia che lo Stato non debba intervenire nell’economia, come gli Stati Uniti.

Al governo (o ai governi) viene chiesto di sostenere economicamente, in maniera diretta, sia le aziende (l’offerta) sia la cittadinanza, per il consumo (la domanda),

(In alcuni casi l’aiuto richiesto allo Stato assume contorni paradossali: a richiedere i sussidi sono le stesse aziende che hanno trasferito la sede fiscale in altri paesi dove la tassazione è più vantaggiosa per loro (vedi il caso Fiat Chrysler); oppure viene proposto di dirottare le risorse per gli investimenti assegnate di diritto, coerentemente al numero di abitanti, al Sud Italia per dirottarle al Nord, penalizzando ulteriormente i territori economicamente più fragili per sostenere quelli più ricchi).

Ma nel contesto UE, dove esistono ancora forti vincoli all’indebitamento delle finanze pubbliche, queste forme di sostegno diventano difficili e rischiose, vedi l’ipotesi di aderire al Mes, a fronte del vantaggio di risparmiare poche centinaia di milioni di euro di interessi rispetto al normale finanziamento tramite emissione di btp e simili, ci si trova di fronte al grande rischio di poter essere messi sotto “sorveglianza rafforzata”, ovvero di dover restituire in futuro, a tappe forzate, il debito contratto, seguendo rigide disposizioni guidate da entità sovranazionali che, tra l’altro, non si sono dimostrate mai amiche dei popoli mediterranei (Troika).

In questo momento di crisi, in cui è diventata massima la consapevolezza della necessità di un intervento statale a favore dell’economia, stanno nascendo idee, non si sa quanto estemporanee ed improvvisate o al contrario meditate, ritenute eretiche fino a due mesi fa: dall’ipotesi di monetizzazione dei debiti della Banca centrale della Gran Bretagna, alla distribuzione diretta e quasi incondizionata di denaro nei conti correnti dei cittadini e imprese (“helycopter money”) negli Stati Uniti, all’attivazione di crediti fiscali per sostenere la liquidità in Italia. 

Il nostro Governo ha messo in campo misure che utilizzano la compensazione fiscale, per la ristrutturazione delle case finalizzata al risparmio energetico, prevedendo una compensazione fiscale del 110%(!) in 5 anni. Con i paradossi (solo apparenti) che, ad un risparmiatore, conviene comunque programmare ristrutturazioni edili, che rendono il 10% in 5 anni, piuttosto che tenere i soldi in banca; oppure, laddove lo trovasse vantaggioso, potrebbe trovare un accordo con l’azienda edile, e lasciare le compensazioni all’impresa edile che le sconterebbe dalle proprie imposte del futuro quinquennio e, così facendo, i costi della prestazione rimarrebbero esclusivamente a carico dell’azienda prestatrice dell’opera, risultando gratuite per i committenti. 

I paradossi sono solo apparenti perché, con questa misura, il settore edilizio sarà riattivato e verrà impedita la chiusura ed il licenziamento di aziende e lavoratori, con il beneficio di tutta la società, anche in termini meramente di bilancio economico. Misure simili sono previste per il rilancio del turismo (bonus vacanze), ma si immagina che altri settori potranno esserne investiti.

Questo tipo di strumenti fiscali non solo altro che un abbozzo, previsto da un grande progetto chiamato “CCF” o “Moneta fiscale”, messo a punto negli ultimi anni da un gruppo di studiosi ed economisti indipendenti. 

Detto in soldoni, se lo Stato elargisse, a tutti i cittadini e a tutte le imprese, uno sconto sulle tasse future, ovvero un credito di imposta differito (cioè che si può usare solo dopo due anni), “compravendibile” ed ad accettazione volontaria (ma comunque sicure perchè sicure sono solo la morte e le tasse), meglio ancora cedibile dai cittadini/imprese alle banche, lo Stato non si indebiterebbe (ci sarebbe un mancato introito fiscale, ma solo dopo due anni e quindi non ascrivibile a bilancio) ma le persone e le aziende avrebbero più potere di acquisto e più liquidità. Se, come ci si aspetta, l’economia in tal modo venisse rilanciata, dopo due anni il fatturato delle aziende e l’imponibile dei cittadini sarebbero maggiori e quindi il minor introito prima citato verrebbe compensato dalle maggiori imposte future, in questo modo lo Stato recupera risorse senza indebitarsi sul mercato, ne’ chiedere tasse aggiuntive.

Fino a che ci saranno forze produttive sottoutilizzate la leva della “moneta fiscale” si può realizzare, senza tra l’altro compromettere il saldo commerciale con l’estero (la circolazione sarebbe limitata al nostro paese, alimentando soprattutto il ciclo economico interno). 

Ma la moneta fiscale non è l’unico strumento auspicabile. 

Noi che veniamo da un mondo che ha sempre lottato contro le disparità sociali, per il rispetto dell’ambiente, che ha sempre cercato di vivere e fare attività culturale, politica e sociale seguendo i valori della collettività, che ha sempre sostenuto le idee e le pratiche dei movimenti open source, per la diffusione dei diritti e l’ampliamento delle libertà digitali, cioè della promozione delle forme di utilizzo delle vecchie e nuove tecnologie al servizio della cittadinanza, vorremmo proporre molto di più.

Pensiamo, infatti, che le risorse che il governo sta cercando di convogliare per il rilancio all’economia, dovrebbero essere maggiormente indirizzate a sostenere idee e proposte che cerchino di cambiare e migliorare il nostro modello di sviluppo. Non quindi un rilancio tout court, basato sulla mera crescita “tal quale” o qualunque sia, ma una crescita ed un rilancio “qualificato”, che segua cioè linee guida tali da favorire una serie di obiettivi, condivisi e vantaggiosi per la stragrande maggioranza dei cittadini.

La nostra proposta

La nostra proposta è quindi quella di creare una forte connessione tra le migliori esperienze collettive ed i decisori degli indirizzi politici economici, per sfruttare queste risorse con l’obiettivo, non solo del rilancio economico quantitativo e per lottare contro la povertà e le disuguaglianze, ma anche per indirizzare l’economia verso:

  • un modello che prediliga il consumo collettivo;
  • forme di produzione condivisa: sappiamo che le nuove tecnologie oggi consentono una produzione sia immateriale (digitale open source o creative commons) che materiale (vedi solo a titolo di esempio le Fab Lab con stampanti 3D o i progetti arduino);
  • un maggior rispetto dell’ambiente con produzioni, consumi e stili di vita a basso consumo energetico;
  • una mobilità ad impatto zero;
  • una maggiore sostenibilità ed autoproduzione energetica possibile con le rinnovabili,
  • una forma “partecipata” anche dell’organizzazione delle imprese di produzione e servizi e non solo del mondo dell’associazionismo no profit;
  • forme di garanzia del diritto all’abitare basate sull’autoproduzione e autorecupero o comunque su un rapporto più equilibrato, più spostato al soddisfacimento dei bisogni e meno spostato sulla rendita.
  • realizzazione di piattaforme digitali collettive e pubbliche, non lasciando più il monopolio del mondo digitale (mail, social network, biblioteche digitali, motori di ricerca, e-commerce) alle pochissime aziende che controllano i  big data, ed estraggono valore dalle nostre relazioni sociali e comportamento ;
  • incentivare la sperimentazioni non solo di banche del tempo, ma anche di monete (e criptomonete) sociali e complementari (come il Sardex o le sue varianti regionali), che costruiscano e sperimentino circuiti alternativi di scambio di beni e servizi, basati più sul “valor d’uso” che sul “valor di scambio”, e che sottraggano alla finanza e alla rendita, la circolazione della moneta.
In sintesi: tutto il meglio di quello che già qualche anno fa abbiamo chiamato il “Welfare delle Relazioni” e “Sostegno alla domanda qualificata”.

E’ questo il momento in cui noi, come cittadinanza tutta, produttrice di valori materiali o immateriali, ed il Governo nostro rappresentante democratico, possiamo dare un indirizzo all’economia realmente a favore di tutte/i, per costruire una società che sperimenti (o almeno alluda a) un nuovo modello di sviluppo, che non sia più foriero di povertà, precarietà, disuguaglianza, predazione dell’ambiente e rapina verso i più deboli.