Un Super Bonus per le aree interne
Lettera aperta di Cesare Silvi, Presidente dell’Associazione Valle del Salto e responsabile del Festival Valli e Montagne Appennino centrale, all’On. Riccardo Fraccaro sull’estensione del super bonus 110% alle aree interne
Roma, 18 maggio 2020
All’On. Riccardo Fraccaro, Sottosegretario di Stato
Email segreteria particolare: segreteriassfraccaro@governo.it
OGGETTO: SuperBonus 110%
Egregio Sottosegretario,
sono un ingegnere in pensione. Da oltre 20 anni svolgo lavoro volontario nell’Appennino centrale, dal 1995 solo nella Valle del Salto (Rieti) con la ODV valledelsalto.it, dal 2011 anche nelle aree confinanti di Marsica, Turano, Velino, infine dal 2015 con il Festival valli e montagne Appennino centrale nelle aree interessate da cammini e sentieri di lunga percorrenza di Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo.
Ho vissuto nella Valle del Salto i terremoti de L’Aquila (26 aprile 2009), Amatrice (24 agosto 2016), Norcia (30 ottobre 2016), nella casa dove sono nato (da oltre 60 anni seconda casa), parte di un aggregato in muratura, tipico dei villaggi appenninici, in continuità statica e muri di spina confinanti. Le case dei 13 proprietari di questo aggregato sono tutte seconde case, vuote!
Da Il Messaggero del 14 maggio u.s. apprendo che l’ampliamento e i maggiori benefici previsti dal SuperBonus 110% sono destinati solo alle abitazioni principali. Non mi è chiaro invece se per un condominio/aggregato sono incluse anche le seconde case. L’argomento mi interessa non tanto dal punto di vista personale ma soprattutto da un punto di vista generale.
Energia e Ambiente sono stati gli argomenti della mia professione. Dal 1987 lo è stato, e lo è tutt’ora, quello dell’energia solare, con particolare riferimento, dal 1998, al tema della Storia dell’energia solare con l’ ODV Gruppo per la storia dell’energia solare. In oltre venti anni di studi e ricerche multidisciplinari, questo Gruppo ha cercato di capire cosa abbia fatto l’umanità per vivere quando non erano stati ancora scoperti e poi utilizzati ampiamente i combustili fossili.
La Valle del Salto è parte dell’area interna Monti Reatini con i suoi 31 comuni, destinati allo spopolamento e all’abbandono, fenomeni accentuatisi di recente anche a seguito dei terremoti ricordati sopra. Ma lo sguardo va esteso a tutte le “aree interne” italiane (il 53% circa dei Comuni italiani (4.261), con il 23 % della popolazione italiana, pari a oltre 13,54 milioni di abitanti), le quali occupano una porzione del territorio che supera il 60% della superficie nazionale. Non mi soffermo sulle aree interne che sono fortunatamente ampiamente documentate su internet:
• Riabitare l’Italia – Le aree interne tra abbandoni e riconquiste a cura di Antonio De Rossi
• Agenzia per la coesione territoriale
Desidero invece concentrare la mia attenzione su un evento “epocale”, incontrovertibile, che ha fatto e continua a fare la storia dell’Italia e del mondo. La scoperta e l’ampia diffusione dei combustibili fossili a partire dal 1850, peraltro tra i responsabili dei cambiamenti climatici.
Le aree interne italiane, ma direi di tutto il mondo, sono una rappresentazione dell’abbondanza energetica resa possibile dall’uso dei combustibili fossili, i quali hanno spopolato le montagne e le aree rurali, o comunque quelle aree dalle caratteristiche naturali in genere meno “benevole”, affollando in parallelo pianure e città.
Aree, quelle interne, che, in una lettura storica solare, raccontano di impianti, di fabbriche, di stili di vita e di lavoro, di abitati e architetture, così come di tanti altri aspetti che il GSES ha convenuto di chiamare dell’“età solare empirica”. Porto l’esempio della “fabbrica” dell’età solare empirica “Marcetelli”, un villaggio ora spopolato della provincia di Rieti, raccontata in un video della serie l’Italia in piccolo, prodotto da Treccani – La cultura italiana (durata 2:50).
Il perfetto racconto del video potrebbe essere reso straordinario con una aggiunta storico solare, spiegando che i tronchi di legno di castagno e di faggio, materia prima della “fabbrica solare”, erano il prodotto dell’energia solare. Tanto che la fabbrica ha chiuso quando sono arrivati i contenitori di plastica, realizzati a partire dai combustibili fossili.
Torno al SuperBonus 110%. È pensabile una progettazione per aumentarne il suo impatto?
Spalmare il SuperBonus 110% su tutto il territorio nazionale, potrebbe banalizzarne l’impatto economico, ambientale e, soprattutto, quello politico. Peraltro potrebbe anche rischiare di sanare, grazie alle buone idee della prevenzione sismica e del solare, progetti pensati male e realizzati peggio. Una misura così eccezionale andrebbe proposta per fare delle cose eccezionali, mirate per indicare delle direzioni prioritarie secondo le quali muoverci per il nostro futuro.
L’applicazione del SuperBonus 110% alle aree interne italiane potrebbe essere una delle scelte da fare. Una sfida multilivello: scientifica, tecnologica, culturale, con l’obiettivo di costruire in quelle aree esempi di prevenzione sismica e uso dell’energia solare da progettare e realizzare con le migliori competenze disponibili. Da mettere a lavori finiti sotto i riflettori dell’opinione pubblica e del mondo.
L’ambiente costruito storico delle aree interne è oggi praticamente vuoto. Sull’Appennino centrale ci sono centinaia di piccoli villaggi le cui architetture ed urbanistiche solari empiriche potrebbero essere ridotte in macerie al prossimo terremoto, quando invece potrebbero essere modernizzate con le più avanzate tecnologie di consolidamento e con le tecnologie dell’età solare moderna.
In ballo sarebbe quel 60% del territorio nazionale dimenticato e da riabitare. Una sfida epocale, come epocale è stato l’arrivo dei combustibili fossili.
Ing. Cesare Silvi
Già Presidente, International Solar Energy Society (1999-2001)
Presidente, APS valledelsalto.it
Presidente uscente, Gruppo per la storia dell’energia solare
Membro Segreteria tecnica, Festival valli e montagne Appenino centrale 2020
EMAIL csilvi@gses.it – cell 333 1103656 – 06 8411649
ALLEGATA NOTA pagine n.6 E n.3 DOCUMENTI DI APPROFONDIMENTO
NOTA DI APPROFONDIMENTO ALLEGATA
ALLA LETTERA AL SOTTOSEGRETARIO DI STATO ON. RICCARDO FRACCARO
OGGETTO: SUPERBONUS 110%
Roma, 18 maggio 2020
Il 14 maggio 2020 Il Messaggero, in un articolo di Andrea Bassi e Luca Cifoni, ha dato la notizia
“Arriva il super-bonus al 110 per cento per efficientamento energetico e prevenzione antisismica, accompagnato da un’importante novità: la possibilità per le famiglie di sfruttare per questi interventi (ma anche per quelli di recupero del patrimonio edilizio) al posto della normale detrazione fiscale, un contributo sotto forma di sconto anticipato dall’impresa che fa i lavori oppure un credito d’imposta cedibile ad altri soggetti tra cui anche le banche. Questa opzione varrà per gli interventi fatti quest’anno o il prossimo. L’ampliamento al 110 per cento della percentuale di detrazione – fruibile in cinque rate annuali o nelle forme alternative di cui sopra – scatterà invece per le spese sostenute dal prossimo primo luglio al 31 dicembre 2021. Per il ministro Fraccaro si tratta di «una rivoluzione per economia e ambiente». I soggetti interessati sono condomini e proprietari di singole unità immobiliari, nel secondo caso purché si tratti di abitazioni principali (e questa è una novità che riduce la portata della misura).
Anzi, secondo lo scrivente, si tratta di una riduzione che andrebbe evitata al fine di valorizzare il significato di eccezionalità del SuperBonus sui piani economico, ambientale e, soprattutto politico. Magari le mie considerazioni potrebbero essere già superate da aspetti che non sono stati ancora resi noti o che io non conosco.
Provo a spiegarmi.
Viste le somme di denaro in ballo, la misura dovrebbe mandare segnali forti, puntando ad obiettivi selezionati ai quali applicare il SuperBonus, il cui perseguimento aiuti a capire dove e come una ricostruzione post “Pandemia”, sia possibile guardando al futuro.
Per esempio, tra i tanti obiettivi, uno sul quale concentrare l’attenzione dovrebbe riguardare le cosiddette aree interne.
Aree che costituiscono circa il 60% del territorio nazionale, contraddistinte dalla presenza di Comuni con meno di 5 mila abitanti (il 74% del totale), lontane dai servizi essenziali – quali scuola, sanità e mobilità, e caratterizzate da una consolidata tendenza allo spopolamento totale.
Evito di entrare in merito alle proiezioni delle Nazioni Unite ed esperti demografi su quello che sarà l’inurbamento futuro.
Desidero invece richiamare l’attenzione sull’intervista rilasciata dall’architetto Rem Koolhaas sulla rivista Robinson del 9 maggio 2020 del giornale La Repubblica (ALLEGATO 1), sulla mostra da lui organizzata a New York, presso il museo Guggenheim. La mostra, ora chiusa a causa del Codiv-19, resterà aperta fino alla fine del 2020, ha l’obiettivo di “rimettere la campagna all’ordine del giorno”.
Per guardare vicino a noi, vale a dire alle nostre aree interne, lo facciamo rileggendo un editoriale di Michele Serra della rubrica “L’amaca” La Repubblica del 2 aprile 2017. Serra introduce le sue riflessioni partendo dalla domanda che si è posto Paolo Rumiz partendo per il suo viaggio nell’Appennino terremotato: “Come mai un luogo che è il baricentro del Paese è sentito dai governanti come una lontana periferia?” Per Serra le immagini satellitari mostrano la Piana del Po illuminata per intero come Manhattan, mentre l’Appennino è buio. Osserva Serra:
“L’evo industriale ci ha portati a un processo di inesorabile rimozione della natura (la zona buia).
L’Italia è scesa in pianura e ha abbandonato vallate, crinali e borghi.”
I motivi della discesa degli italiani in pianura e l’abbandono di vallate, crinali e borghi è legata a due fondamentali motivi:
• Il primo collegato alla loro natura, il più delle volte non benevola;
• Il secondo, più importante, ma molto, molto più importante del primo, è un fatto “epocale”, incontrovertibile, che ha fatto e continua a fare la storia dell’Italia e del mondo. La scoperta e diffusione dei combustibili fossili a partire dal 1850.
È il secondo motivo quello all’origine dello spopolamento delle aree italiane interne e allo stesso tempo dell’affollamento delle nostre città e delle pianure.
Tutti i paesi del mondo hanno seguito un percorso analogo a quello italiano tratteggiato.
In Cina, oltre 500 milioni di persone hanno lasciato negli ultimi decenni le campagne per andare a vivere in grandi città come Wuhan, epicentro della pandemia del Covid-19. Un fenomeno che continua nelle regioni meno avanzate di Asia, Africa, America Latina, mentre scopriamo la fragilità di un sistema globale oggi diffusamente messo in discussione.
Basti pensare che nella più famosa città del mondo, in uno dei suoi più prestigiosi musei, come ho ricordato sopra, c’è una mostra che ha l’obiettivo di “Rimettere la campagna all’ordine del giorno”, quella italiana, come dice Michele Serra: la zona buia.
Torno indietro nel tempo di quasi due secoli, per tornare poi a parlare di nuovo dell’Italia.
Dall’età solare empirica all’età solare moderna
A metà del 1800, in ogni parte del mondo, la legna da ardere, il carbone da legna e la paglia, costituivano le principali fonti di energia.
Facevano eccezione un limitato numero di paesi che avevano cominciato ad entrare nell’età dei combustili fossili e ad uscire dall’età solare empirica.
L’uso del termine “età solare empirica” mi obbliga ad aprire una parentesi.
L’Organizzazione di Volontariato (ODV) Gruppo per la storia dell’energia solare è al lavoro dal 1998. I risultati delle ricerche storiche solari condotte hanno suggerito ai suoi soci l’uso di un “linguaggio” capace di rappresentare il mondo fisico passato, presente e futuro dell’energia e dell’energia solare rinnovabile, energia solare fossile, rapporto tra la Terra e il Sole, ecc..
L’età solare empirica, per il GSES, ha inizio con la comparsa dell’uomo sulla Terra, fino al momento della scoperta e diffusione dei combustibili fossili (energia solare fossilizzata), il cui utilizzo ha finito per sollecitare i mondi di scienza e tecnologia ad esplorare la possibilità di fare con l’energia solare le stesse cose fatte con i combustibili fossili, in particolare la produzione del vapore alle alte temperature e dell’energia elettrica, due forme di energia espressione della modernità.
L’età solare moderna si distingue dall’età solare empirica per le conoscenze conquistate dall’umanità durante l’ultima rivoluzione scientifica le quali ci hanno consentito di capire come è fatta la luce del sole e spiegarne i fenomeni naturali, come l’arcobaleno ad essa associato, stupefacente, ma misterioso per i nostri antenati.
È l’elettricità solare l’unico elemento che distingue le due età. Nell’età solare empirica, millennio dopo millennio, secolo dopo secolo, esperienza dopo esperienza, abbiamo imparato a vivere sulla Terra solo con l’energia solare rinnovabile, un fatto incontrovertibile.
Per l’Italia, come vedremo in seguito, l’età solare moderna ha inizio alla fine del 1800, con la produzione dell’elettricità dall’energia idrica delle cadute d’acqua, una forma indiretta di energia solare rinnovabile. All’età solare moderna hanno contribuito i pionieri dell’energia solare degli ultimi 200 anni, alcuni di loro ricordati in uno dei poli del GSES dell’”Archivio e museo
nazionale sulla storia dell’energia solare” realizzato presso il Museo dell’industria e del Lavoro di Brescia.
La transizione ai combustibili fossili fu completata in Europa a partire da dopo la seconda guerra mondiale, subendo negli anni successivi una forte accelerazione.
Per quanto riguarda l’Italia, fu il “carbone bianco”, cioè l’energia idrica dei bacini alpini, a contribuire all’industrializzazione italiana alla fine dell’Ottocento. Infatti, l’Italia, a causa della mancanza di carbone, perse l’appuntamento della rivoluzione industriale degli anni cinquanta dell’Ottocento, basata sul ferro e sull’acciaio.
La produzione di energia elettrica in Italia ebbe inizio con la costruzione del pionieristico impianto termoelettrico di Santa Radegonda messo in esercizio a Milano l’8 marzo 1883. Si trattò del primo impianto di questo tipo costruito in Europa, preceduto nel 1882 da un impianto termoelettrico, il primo in assoluto al mondo, costruito nella città di New York.
La storia dell’industria italiana è ben diversa da quella dei paesi ricchi di combustibili fossili. Infatti si sviluppò grazie all’energia idroelettrica, una forma indiretta di energia solare, ed è bene sottolinearlo.
Il primo grande impianto idroelettrico in Europa fu costruito a Paderno d’Adda nel 1898 dalla Edison. La spinta all’uso dell’energia idrica venne dalle possibilità offerte dalla corrente alternata, che consentiva di trasportare economicamente l’energia elettrica sulle lunghe distanze e, quindi, di sfruttare le risorse idriche delle Alpi ed evitare così di dipendere dal carbone di importazione.
I primi decenni del 1900 segnarono un forte incremento della produzione idroelettrica italiana solare tanto che, anche sotto la spinta delle politiche autarchiche del regime fascista, nel 1939 la produzione elettrica era sostanzialmente tutta nazionale, con 18,4 miliardi di kWh complessivi di
cui 17 miliardi di kWh idroelettrici (6000 MW installati, pari al 92% della produzione), 923 milioni di kWh termoelettrici, 488 milioni di kWh geotermici.
Dopo la seconda guerra mondiale il piano Marshall, a sostegno della ricostruzione post bellica, diede un impulso speciale all’installazione di nuovi impianti termoelettrici.
Tra il 1956 e il 1965, per la prima volta, la potenza installata in impianti con combustibili fossili cominciò a superare la potenza installata in impianti idroelettrici.
La domanda di energia stava crescendo rapidamente. Le nuove politiche erano mirate ad assicurare i rifornimenti energetici attraverso l’importazione dei combustibili fossili e lo sviluppo dell’energia nucleare. Quest’ultima avrebbe dovuto contribuire ad assicurare l’indipendenza energetica dell’Italia.
Per quanto riguarda la produzione, l’idroelettrico, da più dell’80% del totale nel 1955, scese al 56% nel 1965 e sotto il 30% nel 1980. L’utilizzo del petrolio negli impianti termoelettrici passò invece dal 6% nel 1955 a oltre il 60% nel 1980.
Dopo queste considerazioni storiche, che possono essere approfondite nell’articolo agli atti del SWC (Solar World Congress) 2003 dell’International Solar Energy Society (Versione italiana al link, versione inglese), mi avvio ad alcune considerazioni conclusive.
Il SuperBonus 110%, è un’ottima idea, ma varrebbe la pena capire quali potrebbero essere in fase applicativa i possibili miglioramenti.
Spalmare il SuperBonus 110% su tutto il territorio nazionale, solo sulle prime case, potrebbe banalizzarne l’impatto economico e ambientale, rischiando, peraltro, di sanare progetti pensati male e realizzati peggio.
L’applicazione del SuperBonus 110% in modo mirato potrebbe invece indicare delle direzioni prioritarie secondo le quali muoverci per il nostro futuro. Dovremmo utilizzarlo dove la sfida è importante e altrettanto lo sono le progettate aspettative.
La sua applicazione alle realtà dimenticate delle aree interne potrebbe costituire una sfida multilivello – scientifica, tecnologica, culturale – avente lo scopo di valorizzarne i patrimoni dell’ambiente naturale e dell’ambiente costruito a beneficio dell’intera Italia.
Si potrebbe selezionare un certo numero di queste aree interne e all’interno di ciascuna concentrare gli interventi su situazioni prototipali dalle quali trarre degli esempi positivi per trarne indicazioni per il futuro.
Un caso conosciuto, in quanto sotto i riflettori dell’opinione pubblica negli ultimi dieci anni, èquello dell’Appennino centrale, con molti centri abitati distrutti dalla crisi sismica di Amatrice, Norcia, Visso, dove sembra che la ricostruzione post sisma non sia mai cominciata e dove da 100 anni non si è mai fatta la prevenzione sismica.
L’ambiente costruito storico oggi è sostanzialmente vuoto. Ci sono centinaia di piccoli villaggi che testimoniano in modo esemplare quella che è stata l’età solare empirica.
Il SuperBonus dovrebbe avere un carattere premiante per far emergere realtà dimenticate come quelle delle aree interne terremotate dell’Appennino centrale.
Si tratta di territori nei quali centinaia di piccoli villaggi andrebbero considerati storici solo per il fatto di essere una testimonianza della loro sopravvivenza secolare in quella che il Gruppo per la storia dell’energia solare (GSES, www.gses.it) ha convenuto di chiamare l’età solare empirica.
Alcuni di questi villaggi possono fregiarsi persino di avere un museo di quella che il GSES ha ribattezzato il museo della Fabbrica dell’età solare empirica. È il caso di un piccolo villaggio della provincia di Rieti raccontato in un video di 2:50 minuti prodotto dalla Treccani Cultura Italiana della serie “Italia in piccolo”.
Questo villaggio dell’Appenino, insieme a molti altri, è il risultato di architetture ed urbanistiche in continuità statica e muri di spina confinanti, vale a dire aggregati/condomini, ubicati in una delle zone ad alta sismicità dell’Italia. In molti casi questi villaggi sono caratterizzati da urbanistiche ed architetture solari, che potrebbero prestarsi per il passaggio dalla età solare empirica all’età solare moderna.
Tali aggregati, visto che i paesi sono spopolati, sono quasi tutte seconde cose. Il SuperBonus li considererebbe o li ignorerebbe?
Dopo il disastroso terremoto del 13 gennaio 1915, che distrusse la Marsica in Abruzzo e colpì parte del Lazio, in particolare le valli del Liri e la Valle del Salto o Cicolano, e che fece oltre 30.000 morti, Venceslao Amici (1869-1948), nato a Paggese di Acqua Sante Terme nelle Marche, ing. e Deputato del Collegio di Cittaducale, presentò al Parlamento del Regno d’Italia dell’epoca un suo piano volto alla prevenzione sismica.
Si tratta di un tema che, nonostante i grandi progressi fatti, non ha tuttavia trovato applicazione in molte aree dell’Apppennino centrale sismico, come per esempio nella Valle del Salto.
Le proposte di Venceslao Amici, presentate al convegno in una relazione di 21 pagine dalla dottoressa Fosca Pizzaroni, Archivista –Ispettore archivistico onorario della Soprintendenza archivistica e Bibliotecaria del Lazio, possono essere lette negli atti del convegno “Storia e attualità del rischio sismico nell’Appennino centrale”, tenuto nel 2017 a Cittaducale
Il SuperBonus dovrebbe costituire uno strumento speciale per affrontare sull’Appennino centrale la sfida di dimostrare che con le tecnologie avanzate è possibile fare la prevenzione sismica e tornare ad abitare i piccoli borghi, assicurandone un futuro anche nell’età solare moderna.
Età per l’Italia iniziata con la costruzione del primo grande impianto idroelettrico/solare europeo a Paderno d’Adda del 1898, ricordato sopra.
Il SuperBonus dovrebbe essere speso per evidenziare:
• Un futuro italiano che guarda alle aree interne;
• Un futuro che si pone la sfida scientifica e tecnologica di abitare in sicurezza le aree italiane ad alto livello di sismicità;
• Un futuro italiano che guarda all’uso moderno dell’energia solare attraverso un approccio sistemico, capace di mettere ogni tassello di tale sistema al punto giusto, iniziando dalle urbanistiche e dall’architetture solari spesso incise nei piccoli villaggi durante l’età solare empirica.
• Un futuro italiano che non ignori i cambiamenti climatici e li affronti cogliendo le opportunità offerte dalla Scienza della luce del Sole, per tornare ad utilizzare l’unica, la più grande fonte energetica sulla Terra, per l’appunto quella irradiata dal Sole, ovviamente in forma moderna.
L’attenzione per la rivitalizzazione dei piccoli villaggi spopolati o del tutto abbandonati delle nostre aree interne dovrebbe costituire uno spunto per mandare un forte messaggio ai governanti di quei paesi che lasciano spopolare i loro villaggi come abbiamo fatto, sicuramente sbagliando,
noi dei cosiddetti paesi avanzati.
Ing. Cesare Silvi
Già Presidente, International Solar Energy Society (1999-2001)
Presidente, APS valledelsalto.it
Presidente uscente, Gruppo per la storia dell’energia solare
Membro Segreteria tecnica, Festival valli e montagne Appenino centrale 2020
EMAIL csilvi@gses.it – cell 333 1103656 – 06 8411649