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Bona Communia, un libro sugli usi civici

E’ in prossima uscita, nelle librerie fisiche ed on line, il libro “Bona Communia – Condivisione della terra e della conoscenza – Usi civici e proprietà collettiva, esempio di civiltà nel meridione italiano“, edito da Magenes

Gli autori sono i fratelli Francesco e Roberto Tupone, la prefazione è di Pino Aprile, mentre la Postfazione è di Sergio Bellucci. Il testo contiene le presentazioni di Antonio Spera, Ezio Palumbo e Gianni Colabianchi.

Gli autori, da sempre sostenitori dell’associazione Netleft e della rete Transizione, hanno scritto quest’opera per far conoscere il tema delle proprietà collettive, le loro origini e la loro evoluzione storica, e costruire sugli usi civici un movimento per la loro valorizzazione per farli diventare un motore per una economia sostenibile e condivisa. E’ stato sorprendente osservare come il concetto di Bene Comune più moderno consegue dagli usi collettivi delle antiche comunità. Gli autori, che in passato si sono distinti per essere stati attivisti per la difesa dei diritti e delle libertà digitali, sottolineano, con le loro ricerche, che la lotta per il software libero e per la cultura libera è figlia di una concezione dei diritti di cittadinanza che risale agli albori della Storia; sottolineano le formidabili analogie tra beni comuni materiali ed immateriali, tra la condivisione della terra, che oltre ad un diritto diventava di fatto anche un “reddito di cittadinanza” e la condivisione della conoscenza, che, analogamente, oggi rappresenta uno strumento di produzione immateriale e quindi anch’esso di reddito. Il libro, inoltre, illustra la straordinaria modernità della giurisprudenza degli antichi stati meridionali, posta sempre in difesa dei diritti delle comunità contro le usurpazioni dei potenti. Di seguito l’introduzione del libro.

Introduzione
Il presente libro racconta di come la proprietà collettiva, anche conosciuta con il termine di “uso civico”, abbia rappresentato una forma, poco conosciuta ma non per questo poco importante, di grande civiltà particolarmente per la popolazione dell’Italia Meridionale.
Il Regno di Napoli, unico in Europa, garantiva questa forma di diritto di cittadinanza, una sorta di reddito di cittadinanza che corrispondeva ad una proprietà collettiva da dare in uso gratuito alle persone meno facoltose, gli usi civici appunto, presente fin dai primordi del Regno. Si può affermare che il feudalesimo, come lo abbiamo studiato sui libri di storia, grazie alla presenza degli usi civici, non abbia mai attecchito nel meridione, essendo sempre stato contrastato dalla giurisprudenza napoletana che difendeva con forza questi diritti che permettevano ai cittadini di non doversi sottomettere, per soddisfare i bisogni primari, ai potenti di turno.
Abbiamo evidenziato come il moderno concetto di “bene comune” trae origine dagli “usi civici del Regno” e come questa forma particolare di proprietà collettiva abbia preservato l’ambiente naturale ed alimentato una cultura della condivisione effettivamente praticata che oggi si è rivelata di grande attualità.
In pratica gli usi civici, nelle leggi dei Regni meridionali, hanno rappresentato un diritto umano imprescrittibile e irrinunciabile, esteso a tutti i cittadini, senza differenza di età e di genere. Le relative prammatiche di fine 1400 e inizio 1500 possono essere paragonate ad una dichiarazione universale dei diritti dell’uomo scritta duecentocinquanta anni prima della rivoluzione francese e quattrocento anni prima della costituzione dell’Onu.
Nonostante il clima liberale/liberista dei secoli XIX e XX che li considerava “retaggio di un passato da superare”, gli usi civici sono sopravvissuti fino ai giorni nostri e sono stati finalmente valorizzati prima nel 1985 con la Legge Galasso e poi, grazie al lavoro pregresso di Stefano Rodotà e della sua “Commissione per i beni comuni”, nel 2017 con la legge 168, che ha introdotto nella Costituzione Italiana un terzo ordinamento della proprietà: insieme alla proprietà individuale e pubblica è stata finalmente riconosciuta anche la “proprietà collettiva”, cioè la proprietà delle comunità.
Il libro non è lungo e si basa, in gran parte, su un testo scritto nel 1882 dall’avvocato calabrese Luigi Lombardi, che abbiamo riscritto in italiano corrente ed aggiornato fino ai giorni nostri.
Il tema degli usi civici ci ha entusiasmato, in particolare la parte storica che riguarda soprattutto il meridione italiano, ma è interessante anche la sua attualità e le implicazioni che ha soprattutto in tema ambientale e di difesa del territorio e del paesaggio. Riteniamo che un argomento di tale importanza debba, oggi più che mai, essere reso noto al grande pubblico.