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La crisi e la Transizione: 1 – Il giudizio sulla crisi

La crisi e la Transizione: 1 – Il giudizio sulla crisi

Il giudizio sulla natura dell’attuale “crisi” del capitalismo contemporaneo, è il tema di partenza per la definizione di una strategia politica in grado di affrontare il passaggio storico che stiamo vivendo.

di Sergio Bellucci

Sulla differenza di giudizio della fase, infatti, derivano le conseguenti scelte politiche che caratterizzeranno le opzioni politiche in questo secolo. Il punto di partenza, quindi, non può che essere l’analisi di questa crisi e il giudizio che se ne dà.

A mio avviso, per comprende la vera natura della crisi è necessario analizzare le trasformazioni che il capitalismo ha generato nella forma di produzione, nei cicli economici, nel forma del lavoro – e al sua stessa idea -, nei prodotti. In altre parole, se non si affronta il tema qualitativo della cosiddetta “Digital Disruption” – e si rimane all’interno dello schema quantitativo dei vari schemi basati sul modello keneysiano, del puro intervento sulla moneta o sulla domanda – si rimane puramente all’interno delle possibilità di intervento offerte dalle logiche redistributive. Si rinuncia, cioè, all’autonomia politica derivante da una autonoma visione del mondo, si rimane imprigionati nella logica di “aggiustamento interno al sistema”. Logica che non solo mette alla sinistra, politica e sociale, un piombo nelle ali che la sta facendo scomparire nel mondo, ma che, inoltre, risulta inefficace nelle sue strategie proprio per le caratteristiche della stessa trasformazione capitalistica in atto.

La sinistra, se non dispiega una alternatività al modello esistente, potrebbe essere al suo ultimo atto politico.

La trappola dello schema quantitativo, infatti, riduce la complessità dei fenomeni e assegna centralità (spesso addirittura esclusività e/o cittadinanza) a temi che, se pure importanti, non sono in grado né di riassumono al loro interno il tutto, né possono essere considerati gli unici fattori strategici del capitalismo attuale. Non solo. Anche quando si resta sul piano dell’analisi puramente “economica” della società capitalistica (cosa che non coglie la sua vera e profonda complessità) il modello di analisi della sinistra è attardato a quello che era il modello prima delle trasformazioni introdotte dal digitale sia sul profilo del funzionamento della produzione, sia sotto quello del lavoro, per non parlare degli elementi di governo dei flussi digitalizzati degli scambi finanziari “in&out fo the market” per arrivare alle logiche degli High Frequency Trader e delle Criptovalute abilitate dalle tecnologie Blockchain.

La Digital Disruption sta partorendo un ecosistema completamente nuovo e le forze interne del capitale, le logiche mercantilistiche, stanno cercando di piegare, alle loro necessità, tale nuova dimensione. Logiche che potrebbero archiviare rapidamente forme apparentemente considerate, ormai, come veri e propri “paesaggi naturali”, come ad esempio l’esistenza o la forma della Banche Centrali.

Se non si organizza una risposta alternativa, si produrrà la stabilizzazione di un nuovo quadro capitalistico, almeno di medio periodo, con le difficoltà di non poter più utilizzare le tradizionali forme di compensazione sociale ed economica prodotte dal mondo del lavoro nel ‘900 e lo svuotamento delle sue forme organizzate in particolare dalla loro autonomia politico-culturale. Una stabilizzazione che potrebbe ridurre o marginalizzare tutti i fattori che ostacolano il dispiegamento della sua logica, siano essi fattori tecno-produttivi o forme sociali di utilizzo alternativo ed extra-mercantile degli spazi aperti dalla stessa Digital Disruption, siano essi strutture che in passato erano abilitanti o necessarie alle vite delle società umane, come istituzioni democratiche, sistemi di regole sociali, monete, religioni, ecc…

Una consapevolezza più presente nelle parole dell’attuale Papa che in quella dei leader delle sinistre europee o occidentali. Un Papa che sente di dover ingaggiare una battaglia che non è di semplice denuncia degli effetti nefasti del modello capitalistico (cosa che in genere fa in maniera più attenta e strategica di molte forze della sinistra tradizionale, come nel caso della sostenibilità del modello di vita attuale – leggi capitalistico -), ma che rappresenta una battaglia vitale per la sopravvivenza di spazi di esternità ai processi di mercificazione della vita che stanno mettendo in discussione la stessa sopravvivenza della forma della religione per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 2000 anni.

Un giudizio condiviso sulla fase della crisi (che non è solo crisi di distribuzione e di accumulazione, ma della nuova natura dei processi aperti dalla smaterializzazione del ciclo e dei processi economici) è quindi necessario non solo per comprenderne il “senso” di marcia dell’attuale sviluppo capitalistico, ma per costruire le scelte politiche che siano coerenti con una risposta all’altezza delle trasformazioni a cui si aspira.

Non possiamo illuderci, infatti, che il consenso verso una proposta politica alternativa alla società capitalistica si produca come la risultate di prese d’atto individuali derivanti dalla esclusione dal livello dei consumi che il mercato capitalistico promette e non garantisce e che la sinistra, invece, dovrebbe garantire.

Questa illusione, infatti, non tiene conto della complessità della società umana, delle logiche del suo stesso funzionamento, dei limiti dello sviluppo possibile e, in altre parole, pecca di un positivismo anacronistico nell’era della conoscenza, aperta più di 100 anni fa, dalle scienze della relatività e dei quanti.

Conoscenze scientifiche che, invece, sono alla base della forma produttiva e delle merci del capitalismo della fase cognitiva.

 

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