Frattocchie 2021 – La Transizione come terreno di conflitto
Lucia Di Giambattista
(Nota per il lettore: La relazione contiene testi estratti da documenti, dati pubblicati a livello europeo e
nazionale e contiene anche i riferimenti delle fonti usate).
Vorrei ringraziare NETLEFT, in particolar modo Sergio Bellucci, per avermi coinvolto in questa iniziativa della
“Transizione” e spero che con il mio intervento di riuscire ad evidenziare più contesti di riflessione per
provare a costruire tutti insieme una “griglia della Transizione” in cui il tema del digitale sia elemento
imprescindibile da cui partire, basandoci sui principi indicati ieri da Sergio, quali la Consapevolezza, la
Condivisione e l’Equità.
Vorrei iniziare commentando con voi il titolo del panel di questa mattina: “La Transizione come terreno di
conflitto”. Dunque, da un lato abbiamo la “Transizione”, portatrice di varie complessità e narrative che
scandiscono l’evoluzione delle nostre vite e dall’altro il “terreno di conflitto” per evidenziare che l’attuale
Transizione genera delle inevitabili incompatibilità su cui è necessario intervenire, anche con urgenza, in
virtù del fatto che l’evento pandemico modifica, nel bene e nel male, le velocità di risposta degli equilibri
dinamici in cui viviamo.
Oggi parliamo di terreno di conflitto, domani della costruzione di opportunità per il Paese, ma tutto ciò
potrebbe avere più valore se venisse affrontato con un pensiero sistemico.
Negli ultimi venti anni, i processi culturali hanno spostato man mano l’individuo al centro delle scelte ma
non risolto o non affrontato un punto: ogni individuo porta con sé una suddivisione intrinseca in diversi
“compartimenti”, come le attività, le capacità, le scelte, i sentimenti, etc.; come scritto dall’autore Fritjof
Capra nel suo libro il “TAO della Fisica”, questa “frammentazione interna dell’uomo rispecchia la sua
concezione del mondo «esterno», che è visto come un insieme di oggetti e di eventi separati. Si considera
l’ambiente naturale come se fosse costituito da parti separate che devono essere sfruttate da vari gruppi di
interesse. Questa visione non unitaria è ulteriormente estesa alla Società, che viene suddivisa in differenti
nazioni, razze, gruppi religiosi e politici. La convinzione che tutti questi frammenti – in noi stessi, nel nostro
ambiente, nella nostra società – siano realmente separati può essere vista come la causa fondamentale di
tutte le crisi attuali, sociali, ecologiche e culturali.”
Tornando al tema della nostra discussione, cioè il “digitale”, cercherei di fare una panoramica su alcuni
punti, partendo da una fotografia europea per poi spostarci all’interno del nostro Paese.
Inizierei con un documento pubblicato a febbraio 2020 (quindi ad inizio pandemia) dalla Commissione
europea ed intitolato “Plasmare il futuro digitale dell’Europa” [Rif. COM(2020)67].
In questo documento, si comprende come le istituzioni europee abbiano individuato per i prossimi anni una
strategia di trasformazione digitale per raggiungere una cosiddetta “sovranità digitale” fondata su tre
macro-obiettivi che serviranno a ridurre “la dipendenza nella fornitura di tecnologie da parte di Paesi extraUE, recuperando il ritardo nei confronti di Paesi leader tecnologicamente, come gli Stati Uniti e la Cina”;
l’idea è di un’Europa digitale forte, indipendente e risoluta”.
La Commissione vorrebbe, in questa fase storica caratterizzata dall’co-esistenza di un dualismo “analogico
- digitale”, sostenere una politica di digitalizzazione, “un puzzle quadrato complesso” di pezzi interconnessi
tra loro, dove nella prima file abbiamo “People-Excellence-Economy”, nella seconda “Democracy-TrustFairness” mentre nella terza “Society-Enforcement-International”.
Ma vediamo quali sono i tre macro-obiettivi che si succedono, poi, a quanto già visto con l’Agenda Digitale
europea che vi ricordo è stato uno dei 7 pilastri della precedente strategia “Europa 2020”.
Il primo obiettivo è la “tecnologia al servizio delle persone”: l’Europa dovrebbe mettere in comune gli
investimenti in ricerca e innovazione, condividere le esperienze e far sì che ci sia collaborazione tra i vari
paesi membri. Tra le azioni considerate prioritarie, ne riporto alcune a mio parere interessanti: - Sviluppare e applicare capacità digitali congiunte all’avanguardia nei settori dell’IA, della cyber
sicurezza, del supercalcolo, del calcolo quantistico, della comunicazione quantistica e della
blockchain. - Accelerare gli investimenti nella connettività Gigabit in Europa, mediante una revisione della
direttiva sulla riduzione dei costi della banda larga, un piano d’azione per il 5G e il 6G aggiornato e
un nuovo programma relativo alla politica in materia di spettro radio (2021). Verranno realizzati
corridoi 5G per la mobilità connessa e automatizzata, compresi corridoi ferroviari (2021-2030). - Una strategia di interoperabilità per i governi dell’UE rafforzata volta a garantire il
coordinamento e norme comuni per flussi e servizi di dati del settore pubblico sicuri e senza
frontiere (2021).
Il secondo obiettivo è “un’economia equa e competitiva”: vuol dire “un mercato unico senza attriti, in cui le
imprese di tutte le dimensioni e in qualsiasi settore possano competere in condizioni di parità e possano
sviluppare, commercializzare e utilizzare tecnologie, prodotti e servizi digitali su una scala tale da rafforzare
la loro produttività e la loro competitività a livello mondiale, e in cui i consumatori possano essere certi che i
loro diritti vengano rispettati.”
Tra le azioni principali, si annoverano: - Una strategia europea per i dati volta a rendere l’Europa un leader mondiale nell’economia agile
basata sui dati (febbraio 2020), che annuncia un quadro legislativo per la governance dei dati
(quarto trimestre del 2020) e un’eventuale legge sui dati (2021). - Valutazione e riesame in corso dell’adeguatezza della normativa dell’UE in materia di concorrenza
per l’era digitale (2020-2023) e avvio di un’indagine settoriale (2020). - Comunicazione sulla tassazione delle imprese per il XXI secolo, che tenga conto dei progressi
compiuti nel contesto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) per
affrontare le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione dell’economia.
Il terzo obiettivo è una “società aperta, democratica e sostenibile”: un “ambiente affidabile in cui i
cittadini siano autonomi e responsabili nel modo in cui agiscono e interagiscono, anche in relazione ai dati
che forniscono sia online sia offline. Un approccio europeo alla trasformazione digitale che rinforzi i nostri
valori democratici, rispetti i diritti fondamentali e contribuisca a un’economia sostenibile, a impatto
climatico zero ed efficiente nell’impiego delle risorse”.
Tra le azioni principali, abbiamo:
– Regole nuove e rivedute per approfondire il mercato interno dei servizi digitali, aumentando e
armonizzando le responsabilità delle piattaforme online e dei prestatori di servizi di informazione e
rafforzando la sorveglianza sulle politiche dei contenuti delle piattaforme nell’UE (quarto trimestre
del 2020, nel quadro del pacchetto relativo alla legge sui servizi digitali).
– Un’iniziativa per un’elettronica circolare, che mobiliti strumenti esistenti e nuovi in linea con il
quadro strategico per i prodotti sostenibili del prossimo piano d’azione per l’economia circolare,
affinché i dispositivi siano progettati per durare, poter essere sottoposti a manutenzione, essere
smontati, riutilizzati e riciclati; essa comprenderà il diritto alla riparazione o all’aggiornamento per
prolungare il ciclo di vita dei dispositivi elettronici ed evitare l’obsolescenza prematura (2021).
– La promozione di cartelle cliniche elettroniche basate su un formato comune europeo di
scambio per consentire ai cittadini europei di accedere a dati sanitari e scambiarli in tutta
l’UE in modo sicuro. Uno spazio europeo dei dati sanitari per migliorare la sicurezza dell’accessibilità
dei dati sanitari, che consentirà una ricerca, una diagnosi e un trattamento
mirati e più rapidi (dal 2022).
L’Europa, dunque, è un attore anche “globale” che non rinuncia ad una dimensione internazionale, come
testimoniato dalla messa in campo di una “Strategia globale di cooperazione digitale” che ha portato alla
firma di nuovi accordi bilaterali con alcuni Paesi extra-UE, come ad esempio in Asia, con il Giappone e la
Corea del Sud.
Un secondo documento pubblicato dalla Commissione (marzo 2021) che rappresenta un piano di proposta,
direi piuttosto tecnico-politico, da far adottare in co-decisione dal Parlamento europeo e dal Consiglio, è la
“Bussola per il digitale 2030: il modello europeo per il decennio digitale” [COM(2021)118 final]: una
bussola per il digitale per potenziare e rifinire gli obiettivi del documento dello scorso 2020 e per cui il
modello europeo si evolve su quattro punti cardinali, estendendosi fino al 2030, anno di traguardo anche
dell’”Agenda per lo sviluppo sostenibile”.
Vediamo quali sono i quattro punti proposti:
- Una popolazione dotata di competenze digitali e professionisti altamente qualificati nel settore
digitale - Infrastrutture digitali sostenibili, sicure e performanti
- Trasformazione digitale delle imprese
- Digitalizzazione dei servizi pubblici
Il progetto “Europa”, soprattutto dal 2015, è stato accompagnato da eventi molto drammatici che ne
hanno messo in gioco tutta la sua tenuta, ricordiamo gli attacchi terroristici dell’ISIS, gli enormi flussi
immigratori provenienti dal Mediterraneo, le politiche e l’insediamento di nuovi Capi di Stato anti-europei,
la Brexit ed in ultimo la recente pandemia Covid-19; questi e tanti altri eventi non citati hanno contribuito
alla sottoscrizione di un nuovo accordo di rafforzamento tra la Commissione europea, il Parlamento
europeo ed i leader dell’Unione valido per la nuova programmazione finanziaria da attuare nei prossimi
anni fino al 2027, istituendo anche nuovi strumenti con cui rivedere il modello europeo: mi riferisco al Next
Generation EU e al Bilancio per il periodo 2021-2027, approvati lo scorso 10 novembre 2020.
Per la prima volta è stata messa a disposizione una dotazione finanziaria straordinaria, pari a 1.824,3
miliardi di euro di cui 1.074,3 miliardi di euro serviranno per il “Quadro finanziario pluriennale 2021-
2027”, comprendente fondi europei a gestione diretta ed indiretta, analogamente a quanto più o meno
visto con il precedente programma; i restanti 750 miliardi di euro, invece, costituiscono la vera novità
perché la Commissione istituisce uno nuovo strumento finanziario temporaneo (2021-2023), chiamato
NEXT GENERATION UE, suddiviso in
- 672,5 miliardi di euro (di cui 360 miliardi di euro sono prestiti e 312,5 sovvenzioni) sono per il
dispositivo “Recovery & Resilience Factory” (RRF), - 47,5 miliardi di euro per il dispositivo di assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d’Europa,
detto REACT-UE, - i restanti 30 miliardi ad altri 5 dispositivi minori.
Almeno il 20% dei 750 miliardi di Next Generation EU, quindi 150 miliardi di euro, serviranno per finanziere
investimenti nel digitale, mentre oltre il 50% del totale complessivo servirà a sostenere il processo di
modernizzazione dell’Europa, tra cui:
• il nuovo programma principale Orizzonte Europa, a supporto di ricerca e innovazione per rafforzare
i settori della scienza e della tecnologia europei affrontando le grandi sfide in ambiti essenziali quali
la salute, la sicurezza, il lavoro e l’inquinamento;
• il Fondo per una Transizione Giusta, per favorire le transizioni climatiche e digitali eque;
• Il programma RESC-UE, che rafforza il meccanismo di protezione civile dell’Unione;
• il nuovo programma specifico per la salute EU4Health.
Più avanti riprenderemo questo tema in particolar modo per parlare del Piano Nazionale di Ripresa e
Resilienza presentato dall’Italia noto anche come PNRR.
Per avere il più possibile un quadro di insieme e per cercare di capire la natura essenziale delle cose,
vediamo alcuni dati pubblicati a livello sia europeo che internazionale.
In generale, la Commissione europea pubblica annualmente diversi report, molto utili per monitorare
l’avanzamento di determinati temi e settori, e che possono anche essere indicativi per i nuovi percorsi da
attuare; tra questi vi è quello denominato “DESI”, acronimo di “Indice di Digitalizzazione dell’Economia e
della Società”; il DESI è un documento molto strategico per il digitale in quanto misura con specifici
indicatori il livello di digitalizzazione di ogni Stato membro rispetto a cinque dimensioni di riferimento,
quali: la connettività, le competenze digitali, l’uso dei servizi internet da parte degli utenti, l’integrazione
delle tecnologie da parte delle imprese ed i servizi pubblici digitali; purtroppo per il 2021, il nuovo report
uscirà in ritardo, solamente ad ottobre; sebbene i dati siano del 2020, è utile rivedere globalmente il nostro
quadro d’insieme per le nostre riflessioni: - la Finlandia, Germania, Ungheria e Italia si sono rilevati come i Paesi più avanzati in termini di
preparazione al 5G. Il 44 % delle famiglie dell’UE dispone già di reti fisse a banda larga ad altissima
capacità (connettività) - la gran parte della popolazione europea (circa il 42 %) non è ancora in possesso di competenze
digitali di base (competenze digitali); - l’85 % delle persone UE, invece, utilizza Internet almeno una volta alla settimana (rispetto al 75 %
del 2014) (uso dei servizi internet); - il 38,5 % delle imprese europeo soprattutto quelle grandi si affida a servizi in cloud avanzati mentre
il 32,7 % riferisce di utilizzare l’analisi dei Big Data (integrazione delle tecnologie); - il 67 % degli utenti UE di Internet che nel 2019 hanno trasmesso moduli alla pubblica
amministrazione, ha iniziato ad usufruire dei canali online delle PA (erano il 57% nel 2014).
Lo stesso “Indice di Digitalizzazione dell’Economia e della Società (DESI)” è stato esteso dalla Commissione
anche a livello internazionale creando così un “Indice Internazionale dell’Economia e della Società Digitale
(I-DESI)” attraverso il quale si confrontano 27 Stati membri con 18 Paesi extra-Ue distribuiti a livello
mondiale. Gli ultimi dati disponibili sono stati pubblicati anche questi nel 2020 e mostrano che i Paesi UE
rispetto a quelli extra europei sono in ritardo soprattutto nella digitalizzazione dei servizi pubblici mentre il
principale Paese non europeo posto nelle prime posizioni è rappresentato dagli Stati Uniti d’America.
Sempre nell’ambito specifico della digitalizzazione, la Commissione pubblica anche un rapporto che valuta
l’inclusione delle donne (gender gap) nel mondo del lavoro, nelle carriere e nell’imprenditoria. Il quadro di
valutazione analizza le azioni dei vari Paesi europei su tre dimensioni, quella dell’uso di Internet, quella
delle competenze degli utenti di Internet, nonché quella delle competenze specialistiche e
dell’occupazione, basandosi su 12 specifici indicatori.
I risultati del 2020, ci dicono che l’Italia è quart’ultima nella classifica pubblicata mentre la Finlandia è il
primo Stato membro ad attuare politiche inclusive per le donne nell’ambito della trasformazione digitale.
Un altro report della Commissione, pubblicato annualmente, che vi vorrei citare è il “Quadro europeo di
valutazione dell’innovazione”; nell’aggiornamento presentato lo scorso giugno di quest’anno, si
riscontrano alcune novità rispetto all’analisi del 2020, anche se sono stati inseriti nuovi indicatori sulla
digitalizzazione e sulla sostenibilità ambientale, rendendo il tutto più in linea con le priorità delle politiche
dell’Unione.
Rispetto ai Paesi leader extraeuropei, in media, l’attuale rendimento europeo in termini d’innovazione è
cresciuto del 12,5% rispetto al 2014: cinque paesi hanno visto un miglioramento delle prestazioni di circa 25
punti percentuali (Cipro, Estonia, Grecia, Italia e Lituania), mentre la Svezia rispetto agli altri Stati membri
continua ad essere il leader indiscusso dell’innovazione, seguita da Finlandia, Danimarca e Belgio, con
prestazioni di innovazione ben al di sopra della media europea. Nel panorama globale, l’Europa ottiene
risultati migliori dei suoi concorrenti, Cina, Brasile, Sudafrica, Russia e India, mentre (in ordine decrescente)
Corea del Sud, Canada, Australia, Stati Uniti e Giappone si confermano ancora leader dell’innovazione.
Altri dati interessanti che vorrei condividere con voi riguardano i brevetti e la loro geografia rispetto al
deposito di domande fatto sia a livello internazionale che europeo.
Secondo i dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (marzo 2021), la Cina
(68.720 domande, +16,1% di crescita su base annua) resta il più grande utilizzatore del Trattato di
cooperazione in materia di brevetti (PCT), seguita da Stati Uniti (59.230 domande, +3%), Giappone (50.520
domande, -4,1%), Repubblica di Corea (20.060 domande, +5,2%) e Germania (18.643 domande, -3,7%).
A livello europeo, invece, il numero complessivo di domande di brevetto depositate nel 2020 è rimasto quasi
invariato rispetto al 2019, 180.250 domande (-0,7% rispetto al 2019); secondo l’Ufficio Europeo Brevetti per
l’alto numero di richieste di deposito risultano ancora primi gli Stati Uniti (44.293 domande), seguiti da
Germania (25.954), Giappone (21.841), Cina (13.432) e Francia (10.554).
Nel 2020, nonostante la crisi pandemica, le aziende e gli inventori italiani hanno depositato all’EPO il
numero più alto mai registrato finora di richieste di domande di brevetto, 4.600, registrando così un
incremento del 2,9% rispetto al 2019.
A livello globale, tra i principali settori tecnici che hanno registrato i maggiori incrementi in termini di
deposito di brevetti vi sono quello farmaceutico (+ 10,2%) e quello della biotecnologia (+ 6,3%).
La tecnologia medica (+ 2,6%) è stato invece quel settore che ha visto la maggior parte delle invenzioni nel
2020, rimpiazzando la comunicazione digitale, settore più attivo nel 2019. Il comparto trasporti ha mostrato
un calo maggiore (-5,5%), soprattutto nei sottosettori dell’aviazione e dell’aerospaziale (-24,7%) e, in misura
minore, in quello automobilistico (-1,6%).
Nella tecnologia medica, gli inventori italiani hanno depositato il 6% di domande in più di brevetto rispetto
al 2019, mentre la crescita più forte tra i principali settori tecnici italiani è stata raggiunta nei mobili/giochi
(+ 26,1%) e nei prodotti farmaceutici, che sono cresciuti del 22,4%, più del doppio della crescita media di
quel campo registrato dall’EPO.
Infine, un dato italiano interessante, è che il 60% dei brevetti italiani depositati in Europa si decidono
principalmente in 3 Regioni: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.
I dati visti insieme servono quindi a comprendere la complessità dei processi e delle logiche che sono
interconnesse, della distribuzione, dell’impatto e degli equilibri di asset tecnologici che si possono
governare e talvolta arginare attraverso proposte, soluzioni e risposte “ibride”, anche non subito
comprensibili.
Facendo un breve commento, diciamo “empirico”, sui dati italiani, non abbiamo ancora raggiunto un
livello “buono” di digitalizzazione, riusciamo a fare comunque innovazione, riusciamo a presentare più
domande di brevetto in Europa e la maggior parte di queste sono richieste che provengono solo da tre
Regioni.
Spostandoci ora verso l’Italia, lo scorso aprile (2021), il Governo ha pubblicato il nuovo Documento di
Economia e Finanza (DEF) 2021 e presentato il Piano di Ripresa e Resilienza alla Commissione europea.
Vediamo prima il DEF, in particolare un documento allegato al DEF molto interessante dal titolo “Dieci anni
per Trasformare l’Italia” dove sono riportate le due linee direttrici stabilite dal Governo in linea con le
politiche e sfide europee e con le missioni stabilite nel PNRR che indirizzeranno le scelte politiche per i
prossimi dieci anni.
La prima è orientata alle necessità immediate:
• assicurare la sicurezza e la manutenzione del patrimonio infrastrutturale esistente, prevenendo i
rischi anche attraverso l’uso di tecnologie innovative;
• migliorare l’efficienza dei sistemi attuali di trasporto per ridurre i rischi e gli impatti negativi legati
all’emergenza sanitaria;
• assicurare l’attuazione degli investimenti programmati con il PNRR e altri fondi nazionali ed europei
disponibili;
• realizzare importanti riforme di sistema e di settore ad esso collegate.
La seconda direttrice, invece, consiste nell’indirizzare le scelte future verso la realizzazione di infrastrutture
più sostenibili e resilienti (in primo luogo ai rischi sismici e ai disastri naturali), per ridurre le disuguaglianze
esistenti e rispondere ai bisogni delle imprese e delle persone, senza danneggiare l’ambiente.
Veniamo ora al Piano di Ripresa e Resilienza italiano, noto più comunemente come PNRR, di cui è
disponibile un portale dedicato: https://italiadomani.gov.it
La quota di finanziamento prevista per l’Italia è di 191,5 miliardi di euro, e sarà formata da 68,9 miliardi in
sovvenzioni e 122,6 miliardi in prestiti; i 122,6 miliardi sono poi suddivisi in 53,5 miliardi per nuovi
progetti e 69,1 miliardi per progetti già esistenti.
Il Governo ha aggiunto altre risorse che affiancano il PNRR con un Fondo complementare pari a 30,6
miliardi di euro derivato dall’ultimo scostamento di bilancio pluriennale autorizzato ad aprile 2021 dal
Parlamento.
Entro il 2032, il Governo ha previsto inoltre di stanziare 26 miliardi di euro da destinare alla realizzazione di
opere specifiche, come la linea ferroviaria ad alta velocità Salerno-Reggio Calabria e l’attraversamento di
Vicenza, relativo alla linea ad alta velocità Milano-Venezia. A queste risorse poi si aggiunge il reintegro del
Fondo di sviluppo e coesione nell’ambito del dispositivo europeo per il potenziamento dei progetti previsti
con una quota pari a 15 miliardi e mezzo.
Nel complesso, l’Italia avrà a disposizione circa 248 miliardi di euro tra risorse europee ed italiane.
Il PNRR italiano si articola in 6 Missioni, suddivise in 16 Componenti che si articolano in 43 ambiti di
intervento per progetti omogenei e coerenti di riforma (49 in totale) e di investimento (133 in totale).
In ciascuna Missione, inoltre, si declinano le tre priorità trasversali del Piano, costituite da “Parità di
genere”, “Giovani” e “Sud e riequilibrio territoriale”.
La prima missione è sul tema della digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura.
La seconda missione, denominata rivoluzione verde e transizione ecologica, si occupa dei grandi temi
dell’agricoltura sostenibile, dell’economia circolare, della transizione energetica, della mobilità sostenibile,
dell’efficienza energetica degli edifici, delle risorse idriche e dell’inquinamento.
La terza missione dispone di una serie di investimenti finalizzati allo sviluppo di una rete di infrastrutture di
trasporto moderna, digitale, sostenibile e interconnessa.
La quarta missione, “Istruzione e ricerca”, incide su fattori indispensabili per un’economia basata sulla
conoscenza. Oltre ai loro risvolti benefici sulla crescita, tali fattori sono determinanti anche per l’inclusione
e l’equità. I progetti proposti intendono rafforzare il sistema educativo lungo tutto il percorso di istruzione,
sostenere la ricerca e favorire la sua integrazione con il sistema produttivo.
La quinta missione è destinata alle politiche attive del lavoro e della formazione, all’inclusione sociale e alla
coesione territoriale.
Infine, la sesta missione, “Salute”, si articola su due componenti: le reti di prossimità, strutture intermedie e
telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale e l’innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio
sanitario nazionale.
L’Italia, sia nel PNRR che nella programmazione a medio-lungo termine, punterà a:
• sviluppare sistemi integrati di trasporto per una mobilità sostenibile
• sviluppo dell’alta velocità
• rinnovo in senso ecologico delle flotte
• rafforzamento dell’intermodalità e della logistica integrata
• investire nell’edilizia sociale agevolata e per la qualità dell’abitare
• potenziare e completare le infrastrutture idriche primarie
• impegnare nella semplificazione delle procedure amministrative
• costruire un sistema informativo integrato e trasparente
Alla strategia stabilita dalle linee direttrici e alle progettualità del PNRR, si aggiungono anche due Piani
nazionali di intervento e otto Piani nazionali e strategici settoriali relativi agli assi tematici degli
investimenti programmati dal Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili (MIMS):
Vediamo gli obiettivi del primo dei due Piani nazionali di intervento, ovvero del “Piano nazionale integrato
per l’energia e il clima (PNIEC)”:
• accelerare il percorso di decarbonizzazione, considerando il 2030 come una tappa intermedia verso
una decarbonizzazione profonda del settore energetico entro il 2050 e integrando la variabile
ambiente nelle altre politiche pubbliche;
• mettere il cittadino e le imprese (in particolare piccole e medie) al centro;
• favorire l’evoluzione del sistema energetico, in particolare nel settore elettrico, da un assetto
centralizzato a uno distribuito basato prevalentemente sulle fonti rinnovabili;
• adottare misure che migliorino la capacità delle stesse rinnovabili di contribuire alla sicurezza e,
nello stesso tempo, favorire assetti, infrastrutture e regole di mercato che, a lo-ro volta
contribuiscano all’integrazione delle rinnovabili;
• continuare a garantire adeguati approvvigionamenti delle fonti convenzionali, perseguendo la
sicurezza e la continuità della fornitura;
• promuovere l’efficienza energetica in tutti i settori, come strumento per la tutela dell’ambiente, il
miglioramento della sicurezza energetica e la riduzione della spesa energetica per famiglie e
imprese;
• promuovere l’elettrificazione dei consumi, in particolare nel settore civile e nei trasporti, come
strumento per migliorare anche la qualità dell’aria e dell’ambiente;
• accompagnare l’evoluzione del sistema energetico con attività di ricerca e innovazione;
• adottare misure e accorgimenti che riducano i potenziali impatti negativi della trasformazione
energetica su altri obiettivi parimenti rilevanti, quali la qualità dell’aria e dei corpi idrici, il
contenimento del consumo di suolo e la tutela del paesaggio;
• continuare il processo di integrazione del sistema energetico nazionale in quello dell’Unione
Invece, il secondo Piano nazionale di intervento, Il Piano SUD 2030: sviluppo e coesione per l’Italia, viene
costruito su 5 missioni:
- un Sud rivolto ai giovani;
- un Sud connesso e inclusivo;
- un Sud per la svolta ecologica;
- un Sud aperto al mondo nel mediterraneo;
- un Sud frontiera dell’innovazione.
Le missioni sono definite sulla base dei fabbisogni di investimento, coerenti con gli obiettivi di policy
indicati dalla Commissione europea per le politiche di coesione del 2021-27 e coerenti con i 17 Obiettivi di
Sviluppo sostenibile dell’Agenda dell’ONU 2030.
La prima missione si concentra sull’investimento nel capitale umano, investendo su tutta la filiera
dell’istruzione allo scopo di ridurre le disuguaglianze e riattivare la mobilità sociale. Per raggiungere questi
obiettivi, la scuola riacquista il ruolo di motore di emancipazione personale, luogo di aggregazione sociale e
di presidio di cittadinanza: sono previste misure che rendano prioritario l’investimento di infrastrutture
scolastiche al Sud, investendo anche nel diritto di studio e nell’accesso alle università del Mezzogiorno, oltre
a contribuire alla lotta contro l’abbandono scolastico.
La seconda, si pone l’obiettivo di garantire scuola, salute e mobilità a tutto il territorio nazionale, seguendo
le seguenti priorità:
• ridurre la distanza temporale fra le ripartizioni territoriali del Paese, potenziando la rete ferroviaria
e velocizzando i servizi;
• migliorare la mobilità interna al Mezzogiorno, con particolare riferimento al Trasporto Pubblico
Locale (TPL);
• sostegno alle filiere logistiche territoriali, con particolare riferimento alla intermodalità delle merci
in uscita e in entrata dai porti (cosiddetto “ultimo miglio” di collegamento dei porti alle reti
ferroviarie, logistica e intermodalità);
• le politiche ordinarie e di coesione, insieme, sono chiamate a ridurre i divari interni nella qualità dei
servizi erogati ai cittadini e alle imprese;
valorizzare il contributo del Terzo settore per promuovere l’economia sociale;
• coinvolgere gli investitori istituzionali.
La terza missione si focalizza su una transizione ecologica con una forte connotazione territoriale. Il Green
Deal per il Sud è l’occasione per:
• realizzare una grande opera di infrastrutturazione verde del territorio (mitigazione del rischio
sismico e idrogeologico; contenimento della produzione di rifiuti; servizio idrico integrato; l’uso
efficiente e razionale delle risorse naturali);
• investire nell’efficienza energetica, sostenere le iniziative di economia circolare, riqualificare i siti
industriali dismessi;
• sostenere la filiera agroalimentare per innescare processi di innovazione coerenti con il Green Deal;
coniugare attività produttiva e standard ambientali stringenti (potenzialità del “biotechal” Sud).
La quarta missione si pone gli obiettivi di:
• accelerare l’evoluzione delle imprese meridionali verso forme imprenditoriali più mature, sempre
più coinvolte nelle catene globali del valore;
• rafforzare l’interesse nazionale per il Mediterraneo e recuperare una nuova consapevolezza
europea della sua centralità, visto che esso rappresenta la via privilegiata per i traffici commerciali
marittimi;
• investire nei porti del Sud e attrarre grandi investimenti esteri con le ZES (zone economiche speciali)
La quinta missione si occupa di avviare una politica specifica per il sistema produttivo orientata alla
“frontiera” tecnologica intorno a due priorità:
• sostenere la diffusione di ecosistemi dell’innovazione, attraverso la promozione dell’insediamento di
startup e l’attrazione di nuove realtà imprenditoriali;
• incentivare la collaborazione tra imprese e sistema della ricerca per favorire il trasferimento
tecnologico, in partenariato pubblico-privato.
Invece, i Piani settoriali sono:
• Il Piano nazionale sicurezza stradale 2030
• Il Piano strategico nazionale della portualità e della logistica
• Il Piano Nazionale del cold ironing
• Il Piano Nazionale degli Aeroporti
• Il Piano Strategico Nazionale della Mobilità Sostenibile (PSN-MS)
• Il Piano Generale della Mobilità Ciclistica (PGMC)
• Il Piano nazionale degli interventi nel settore idrico
• I Programmi innovativi per la qualità dell’abitare (PINQUA)
Dopo questa ricca disamina di argomenti, ritornando al tema iniziale della co-creazione di una “griglia della
Transizione”, la scelta potrebbe essere quella di orientarsi verso quei contesti che sono oggetto di riforma e
di investimento per i prossimi anni, da realizzare con un processo di trasformazione digitale, dove le
tecnologie dovranno essere di ausilio per i cittadini, strumenti e non finalità, dove i cittadini dovranno
essere abilitati ad avere un approccio critico e consapevole nei confronti sia delle informazioni e dei dati
raccolti dagli strumenti digitali che dei principi etici, legali che sono derivati dall’uso stesso delle tecnologie
digitali.
Quando parlo di contesti, mi riferisco alla Sanità, al Welfare, all’Istruzione, alla Pubblica Amministrazione,
alla Coesione Territoriale, alla Sicurezza, all’Ambiente, all’Energia, alle Infrastrutture e ai Trasporti,
all’Agricoltura, alla Cultura, al Turismo, etc.., come parte di un terreno su cui riflettere, su cui convergere,
su cui agire in modo adattivo all’interno del “terreno complessivo” della Transizione.
Per la co-creazione di una “griglia di Transizione” caratterizzata dal digitale, motore costruito e mantenuto
da tre elementi trasversali, cioè l’“Universal Design”, “Security by Design e by Default” e “Once-Only”, si
dovrebbe lavorare tutti insieme per:- creare e mettere in rete 21 gruppi di lavoro, ognuno attivo in ogni sua specifica regione italiana,
- avere una conoscenza pregressa territoriale (mappatura) di quei contesti più critici,
- avere la capacità di misurare e declinare gli interventi di sviluppo nell’attuale esistenza duale
“analogica-digitale”, - applicare una visione sistemica,
- costruire soluzioni “ibride”.
Non è banale, ma come detto ieri da Sergio, dobbiamo saper andare “oltre”, “abbiamo bisogno di lavori di
cura, di attenzione, di produzione di senso”, migrando da “un valore di scambio” ad “un valore d’uso”. - Ogni cittadino deve avere modo di potersi riconoscere nello Stato e poter contribuire a scrivere la storia del
Paese in cui vive; non ci sono né ricette, né promesse di un mondo ideale, ma una realtà da ascoltare, da
accompagnare, da tenere insieme in uno scenario complesso che non si può semplificare.
Essere consapevoli di un cambiamento è un vantaggio, non una disgrazia!
Grazie per l’ascolto.