Distorsione prospettica 1: La lingua italiana durante e dopo la pandemia
Rubrica a cura di Jana Vizmuller Zocco* –
L’Italia vista dal Canada offre un mondo di possibili riflessioni sull’andamento sociale, politico, economico, psicologico, istituzionale, tecnologico delle relazioni umane. Questa rubrica vuole captare, una alla volta, le possibilità degli immaginabili sviluppi della vita in Italia (e altrove) nel dopo-Covid-19.
La ‘distorsione prospettica’ agevola uno sguardo serio ma anche divertente basato non tanto sulle generalizzazioni, ma su argomenti specifici. Non si faranno paragoni tra l’Italia e il Canada, dati i loro punti di contrasto: basta menzionare qui la prospettiva nord-sud italiana, ma quella est-ovest canadese; la lunga convivenza canadese sotto il sistema politico britannico che non è paragonabile alla situazione italiana; il multiculturalismo come modus operandi politico, non esistente in Italia; il bilinguismo (inglese-francese) radicato nella costituzione canadese rispetto al monolinguismo statale in Italia; la lunga esperienza della sinistra nella politica italiana, quasi assente in quella canadese, ecc. Sebbene questi opposti debbano essere sviscerati per poter essere approfonditi, non spetta a questa sede farlo ora.
Questa prima puntata della rubrica si concentra sulla lingua. Se è vero che la pandemia aggrava e rafforza le condizioni preesistenti, quali sono le condizioni linguistiche in Italia ora e quali conseguenze se ne possono trarre per il futuro?
Sembra che la presente situazione linguistica della pandemia virale sia raffrontabile (a rovescio) a quella di cui scrisse Graziadio Isaia Ascoli nel lontano 1875 (nel Proemio all’Archivio Glottologico Italiano, vol 1), lamentandosi della mancanza di una lingua nazionale per l’Italia e suggerendo (sull’esempio della Germania), che solo l’operosità della mente e delle mani avrebbe potuto colmare quella lacuna linguistica. Invece della mancata lingua nazionale quasi duecento anni fa, oggi la lingua italiana esiste, anche se si presenta quasi troppo frantumata, sbriciolata, date le condizioni geolinguistiche, i vari codici e sottocodici specialistici, le diverse varietà sociali, e l’egemonia dell’inglese. Questa situazione potrebbe offrire una ricchezza immensa, ma per raggiungerla manca una ricetta semplice, perché quella ascoliana non è più sufficiente.
Dall’altro lato, il mondo dei social e il mondo digitale in generale, ha aperto la possibilità di comunicazione generalizzata mai prima esistente. E` stato rilevato molte volte, però, che tanti scrivono ma pochi leggono: la scrittura e la lettura non hanno la posizione privilegiata di prima. Le condizioni dell’alfabetizzazione cambieranno con l’uso sempre più assiduo di mezzi digitali che permettono comunicazione orale, audio-visiva.
Quello che stupisce da lontano quando si osserva l’uso dell’italiano in Italia è la assidua soggezione all’egemonia dell’inglese, tanto forte quanto subconscia. Quando un giornalista del Mediaset (programma sullo sport, il 30 aprile 2020) pronuncia, durante il servizio in italiano, il nome del Dr Anthony Fauci come “Antony Fosi”, è chiaro che è completamente inconsapevole dell’errore madornale che commette. Ma si deve andare oltre; gli pseudoanglicismi (mister, slip, spa, ecc.) fanno parte integrante dei prestiti linguistici, e fino a quando seguono le regole grammaticali italiane, tutto va bene. Per di più`, il loro massiccio uso sta travolgendo anche le regole della morfologia (i.e. la formazione del plurale). E` chiaro che la necessità e l’utilità degli europeismi del Leopardi sono lontane da una pedissequa spesso sbagliata copiatura delle parole (e dunque nozioni) inglesi. Comunque, si può accettare anche questo. Quello che infastidisce è l’accettazione acritica delle metafore in uso in inglese. Concettualizzare la pandemia come “guerra” (la metafora utilizzata già da marzo del 2020 nella stampa e nelle comunicazioni governative statunitensi) apre una interpretazione univoca alla problematica del rapporto salute-malattia, e lascia poco spazio per poter aprire il discorso a una visione diversa. Se la metafora ferma il pensiero, invece di ampliarlo, va scartata.
In conclusione, le forze linguistiche in atto lasciano lo spazio aperto a creazioni nuove solo se non si accettano acriticamente prestiti o nozioni troppo generali che non ancorano chiaramente il pensiero e non aiutano a far concepire nozioni diverse. L’ascoliana operosità della mente, intesa come lavoro soprattutto scolastico, crea possibilità inaudite, soprattutto per quanto riguarda la lettura. Se finora le letture a scuola hanno privilegiato il passato (Dante, Manzoni), è lecito chiedersi se non dovrebbero includere anche il futuro, nella fattispecie, i romanzi di fantascienza, che in Italia vanta una produzione interessante e ad hoc per aiutare a provocare pensieri nuovi. Basta citare qui due nomi: Francesco Verso (anche editore), Nicoletta Vallorani. Di scuola e della sua forma post-Covid-19 si parlera` nelle seguenti rubriche.
L’elaborazione di concetti vecchi, quali la sinistra, o il socialismo, hanno bisogno di rielaborazioni in chiave moderna, post-Covid-19. In Italia, la sinistra ha una tradizione assodata; comunque, oggi la sinistra dovrà trovare nozioni di appoggio basate sulle condizioni presenti italiane. Dunque, servono metafore e concetti nuovi, non ancorati al passato.
*Jana Vizmuller-Zocco è professore associato di Lingua e linguistica italiane alla York University a Toronto (Canada).
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