50 anni fa lo statuto dei lavoratori: un passo importante per le relazioni industriali del nostro paese
di Francesco Neri –
“…l’opzione tra accordo e conflitto è stata tutta quanta fatta a favore dell’accordo. Questo è il successo principale per la politica delle intese triangolari. Accanto ad esse si pone ora una serie di passi compiuti in termini di politica legislativa, in termini di riforma del mercato del lavoro ma sono solo alcuni passi compiuti perché affinchè ci sia una attività legislativa animata da adeguati impulsi dinamici è necessario avere un Parlamento altrettanto dinamico e possibilmente avere sempre lo stesso Parlamento per un certo periodo di tempo. Cioè occorre un governo di legislatura…Una politica per l’occupazione, il dramma della disoccupazione giovanile sono temi che devono essere connessi con la politica di intervento in materia di formazione professionale perché altrimenti finiscono per essere vuote ripetizioni di slogan, la concretezza la si conquista soltanto attraverso una convergenza di energie, di forze di intelletti verso il raggiungimento di obiettivi che non sono soltanto di una legislatura ma coinvolgono anche termini di durata maggiore…”.
Sono le parole del professor Gino Giugni pronunciate durante una sua lezione del 23 maggio 1996 all’università di Bari, intitolata Un nuovo assetto del diritto sindacale, organizzata per iniziativa del Centro Studi di Diritto del lavoro per ricordare la figura di un giurista come Francesco Santoro Passarelli che ai problemi del lavoro aveva dedicato una vita intera, tra lezioni universitarie e produzione saggistica.
E’ il 3 maggio del 1983 e il professor Gino Giugni, un socialista e un riformista da sempre, padre dello Statuto dei Lavoratori, viene gambizzato. A sparargli è una donna. Scrisse il Corriere della Sera: “Nel maggio del 1983 fu vittima di un attentato delle Brigate Rosse. Venne «gambizzato» a Roma da una donna. Nello stesso anno venne eletto senatore nelle liste del Partito Socialista Italiano e rieletto poi nell’87. Dall’aprile ‘93 al maggio ‘94 ricoprì la carica di ministro del Lavoro e della sicurezza sociale del governo Ciampi. Fu, inoltre, membro della commissione parlamentare inquirente sulla Loggia Massonica P2. Giugni negli ultimi anni della sua attività ha ricoperto, tra l’altro, la carica di presidente della Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.”
Gino Giugni veniva da una famiglia piccolo borghese, padre calabrese e madre genovese ma di origine bergamasca. “Sono nato a Genova – ha scritto nella sua autobiografia La memoria di un riformista uscita qualche anno fa per la casa editrice Il Mulino e scaturita da una lunga intervista rilasciata ad Andrea Ricciardi – in una casa vicino alla presunta casa di Cristoforo Colombo nonché alla casa di tolleranza di vicolo Castagna frequentata soprattutto dagli studenti dati i modici prezzi”.
Tra i ricordi d’infanzia di Giugni c’è il suono lacerante della sirena che di prima mattina chiamava al lavoro gli operai dei vicini cantieri navali. Bambino delicato e colpito spesso da malattie cominciò a leggere presto e a scrivere sul quotidiano socialista Il Lavoro e sul Secolo XIX che era invece l’altro giornale di Genova, un quotidiano borghese. Tra le sue letture di ragazzo c’erano Quo Vadis, Martin Eden, Jack London e Zanna bianca e poi i fumetti e in particolare Topolino. Gli anni del liceo furono difficili perché coincisero con la guerra. Genova viene bombardata e subisce danni ingenti come tutti i grandi porti italiani. Molti sono costretti a scappare tra cui anche la famiglia Giugni che si rifugia a Cuneo. Successivamente dà gli esami da privatista come ginnasiale e poi si iscrive al liceo Silvio Pellico e qui avrà alcuni compagni interessanti: Franco Cordero, un giurista che ha scritto forse i pezzi più lucidi e velenosi contro le imprese del signor B. su Repubblica. Poi Saverio Vertone che è stato saggista, scrittore e direttore di riviste importanti e anche senatore. E, poi, altro suo compagno di scuola fu Adolfo Sarti, diventato successivamente ministro della giustizia democristiano, un uomo di alta cultura, compagni importanti che contribuiscono anche a formarlo.
Sono passati 50 anni dalla nascita dello Statuto dei lavoratori del 20 maggio del 1970, che rappresenta un passo importante per le relazioni industriali del nostro paese e che permise di far entrare la Costituzione italiana nelle fabbriche, nel periodo dell’autunno caldo e della nascita della lotta armata. Su quel periodo Giugni sostenne: « Fu un momento eccezionale… era la prima volta che i giuristi non si limitavano a svolgere il loro ufficio di “segretari del Principe”, da tecnici al servizio dell’istituzione, ma riuscivano ad operare come autentici specialisti della razionalizzazione sociale, elaborando una proposta politica del diritto».
L’agguato a Gino Giugni fu, forse, il primo di un cambio di strategia delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente come appariva firmato il volantino di rivendicazione, che aprì la fase della cosìddetta “ritirata strategica”. Non bisognava più colpire il cuore dello Stato attraverso i suoi poliziotti, i suoi magistrati o i suoi alti dirigenti politici – strategia questa rivelatasi perdente – ma bisognava colpire i cosìddetti cervelli dello Stato come Gino Giugni oppure altri professori universitari, giuristi, giuslavoristi, intellettuali, uomini di pensiero o quanti si occupavano di relazioni sindacali che cercavano di risolvere i problemi ai tavoli, tutte figure abituate a mediare che rappresentavano l’anello di congiunzione tra le istituzioni, il mondo del lavoro e il mondo economico. Prima di Gino Giugni era toccato, tra gli altri solo per ricordarne alcuni, ad Alfredo Lamberti funzionario dell’Italsider di Genova gambizzato il 4 maggio del 1978, poi a Guido Rossa operaio dell’Italsider di Genova ucciso il 24 gennaio del 1979, a Vittorio Bachelet ucciso il 12 febbraio del 1980 e poi a Giuseppe Taliercio dirigente della Montedison di Marghera ucciso il 5 giugno del 1981. Dopo Giugni toccò ad Ezio Tarantelli allievo di Federico Caffè e professore ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università “La Sapienza” di Roma ucciso il 27 marzo del 1985, a Manfredo Mazzanti dirigente sindacale della Falck di Sesto San Giovanni ucciso il 28 novembre del 1989 e ancora, in anni non troppo lontani, toccò anche a Massimo D’Antona e a Marco Biagi.